Depressione: cosa non dire (empatia)

depressione

“Ma che ti manca?” è una delle tante frasi che sarebbe meglio non dire a chi ha problemi d’ansia o è depresso. Accanto a questa frase ce ne sono altre ancora:

Passerà, è solo una fase.
C’è chi sta peggio di te.
Non ti impegni abbastanza.
Tirati su! Fuori c’è il sole!
Distraiti!
Abbiamo tutti dei problemi.
Tu non vuoi stare meglio.

Cos’hanno in comune tutte queste frasi? In breve, la mancanza di empatia nei confronti della persona che sta male. Disturbi d’ansia e depressione (ma vale per qualsiasi disturbo mentale) non sono modi di essere e vivere che uno si sceglie, almeno non a livello consapevole. E non sono modi di essere e vivere di cui ci si possa sbarazzare semplicemente grazie alla forza di volontà. Ansia e depressione sono comunque il miglior equilibrio che la persona ha trovato in quel momento, un equilibrio doloroso e che fa acqua da tutte le parti, certo, ma che va innanzitutto rispettato. Quello che voglio dire è che, prima di dare consigli, dovremmo cercare di sentire cosa sia la vita per la persona che abbiamo davanti.

Sentire le emozioni degli altri, cioè l’empatia, è però una capacità complessa e scomoda, perché in realtà quello che preferiamo fare è più spesso evitare le emozioni, le nostre e quelle degli altri.

Le frasi che elencavo prima sono tutte prive di empatia e di fatto, minimizzandone la sofferenza, fanno stare peggio la persona a cui sono dirette. Chi le pronuncia può però sentirsi con la coscienza a posto, perché crede di aver detto una buona parola. Quello che ha fatto è invece difendersi dal contatto con il dolore, contatto che fa sempre male e che è una grande seccatura.

Rosalia Giammetta (quipsicologia.it)

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5 consigli su come trasmettere le regole ai figli

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Chiarito che è di fondamentale importanza la trasmissione delle regole nell’educare i nostri figli, esistono degli accorgimenti per aiutare noi genitori in questo compito..

1) Esprimere le regole al positivo

Non è mai troppo presto con i nostri figli per iniziare a concentrarsi sulla positività, perciò fin da quando sono molto piccoli. Un ordine negativo (“Non picchiare tuo fratello”) è molto meno stimolante di un ordine positivo (“Gioca con tuo fratello” o “Presta i giochi a tuo fratello”). Una modalità espressiva negativa fa concentrare involontariamente l’attenzione su ciò che viene dietro il “non” e porta a visualizzare l’azione negativa rafforzando il ricordo dell’azione che noi genitori vorremmo non succedesse. E come se i divieti espressi al negativo innescano la dinamica della tentazione. L’esprimersi al positivo, inoltre, aiuta a pensare ed agire positivamente, consentendo in questo modo l’aumento della consapevolezza e della fiducia nelle proprie potenzialità di fronte a contesti e a situazioni nuove.

2) Essere concisi e non parlare troppo

Noi genitori siamo convinti che ripetendo tante volte lo stesso contenuto questa modalità aumenterà l’effetto della memorizzazione. Quindi, apparentemente siamo certi che più ripetiamo ai nostri figli determinate cose, più essi dovrebbero memorizzarle e farle proprie. In realtà non è così. Esiste, infatti, un meccanismo psicologico molto noto che viene definito assuefazione, e cioè che la ripetizione continua e uniforme di un’istruzione fa sì che l’atto stesso non venga più appreso. E’ inutile quindi arrovvellarci ripetendo a nostro figlio cento volte di mettere in ordine la sua cameretta e magari, ribadendogli anche il fatto che è un disordinato. Piuttosto l’alternativa potrebbe essere quella di trasmettere le regole con dolcezza, ma allo stesso tempo con fermezza e determinazione, senza lamentarsi dei suoi comportamenti manifestati nel passato. Riprendendo l’esempio precedente potrebbe essere utile dire: “Che ne dici se oggi mettiamo in ordine la tua cameretta? Potresti intanto iniziare nel rimettere i pennarelli nella loro scatola, mentre io sistemo il tuo lettino”. E’ ovvio che il bambino può anche non fare quello che gli abbiamo appena chiesto: se lo fa, è utile però metterlo in evidenza; se non lo fa, potremmo iniziare a farlo noi con lui, per fornirgli un buon esempio.

3) Essere pratici

È utile che le regole vengano espresse in modo molto concreto. Ci sono regole infatti, che se espresse in maniera astratta, non fanno altro che creare confusione nei nostri piccoli interlocutori. Per esempio dire: “Devi essere più buono” oppure “Non essere violento”, apre a troppe interpretazioni da parte del bambino che potrebbe di conseguenza pensare: “Se do la macchinina che non mi piace a mio fratello sono buono o no?” oppure “Se oggi spingo Matteo per terra invece di dargli uno schiaffo, sono violento o no?”.

Rispetto a questi esempi, sarebbe utile essere più concreti e fare sempre riferimento al contesto in cui si inserisce quanto stiamo dicendo. Per esempio dire: “Essere buono significa condividere i giochi con tuo fratello” oppure “Quando vedi Matteo, potreste fare un gioco insieme. Magari le costruzioni che ti piacciono tanto”.

4) Fornire le regole al momento giusto

Capita spesso di trasmettere le regole nei momenti in cui stiamo rimproverando i nostri figli per averle disattese. Questo fa in modo che l’atmosfera del rimprovero si trasferirà anche alla regola.

Per esempio, nostro figlio ha spinto per terra la sorellina, e noi, mentre lo stiamo rimproverando dandogli una sculacciata, gli diciamo che bisogna voler bene alla sorellina, e che spingerla può essere molto pericoloso. È ovvio che il bambino associerà ripetutamente il dolore e la rabbia provocati dalla nostra sculacciata all’idea di voler bene alla sorellina, e questo renderà molto difficile lo sviluppo di un grande affetto nei confronti di quest’ultima. Non è utile perciò fare i poliziotti o i giudici tra i nostri figli.

L’alternativa certamente positiva, è parlare delle regole nei momenti piacevoli, mentre si sta bene insieme e magari si sta giocando, divertendosi allegramente.

5) Dare poche regole

Un ultimo particolare che merita attenzione è relativo al fatto che tendiamo a trasmettere molte regole contemporaneamente. Anzi siamo convinti che, più i nostri figli disattendono le nostre regole più ne aumentiamo il numero, come se questo servisse a farle rispettare. Questa modalità naturalmente è solo controproducente, perchè crea confusione. In questo modo, infatti, i nostri figli non hanno il tempo di porre attenzione e interiorizzare ogni singola regola.

E’ bene quindi limitare il numero delle regole ad un massimo di quattro-cinque. Meglio ancora se elencate in ordine, seguendo per esempio la sequenza cronologica delle attività giornaliere e suggerendo il comportamento adeguato da seguire nelle varie parti della giornata. Una volta interiorizzate queste regole se ne possono aggiungere altre.

Cristiana Milla (quipsicologia.it)

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Empatia con i figli

parla

In quale stile ti riconosci?

Partiamo da un classico esempio di conflitto con i propri figli nel quale ogni genitore possa riconoscersi:

Mamma Giulia (o papà Matteo) è già in ritardo per andare al lavoro mentre cerca di convincere sua figlia Chiara, di tre anni, a mettersi la giacca per portarla all’asilo. Dopo una colazione fatta in fretta e furia e una battaglia su quali vestiti indossare, anche Chiara si è innervosita. In realtà non le importa che la mamma abbia un appuntamento al lavoro tra meno di 40 minuti. Vuole stare a casa a giocare e glielo dice. Quando la mamma gli risponde che questo non è assolutamente possibile, Chiara si butta a terra, scalpitando. Si sente triste e arrabbiata e si mette a piangere.

Come risponderà mamma Giulia per risolvere la questione e che modalità di comportamento metterà in atto? E tu invece, genitore che stai leggendo, come ti comporteresti?

Analizziamo di seguito i diversi stili di risposta che mamma Giulia mette in atto e che, secondo il dott. Gottman, sono i più comunemente adottati dai genitori (mentre stai leggendo, pensa all’interazioni con i tuoi figli e cerca di notare cosa sembra simile al tuo stile e cosa c’è di differente invece nello stile del vostro rapporto):

1 – Genitore non curante

Giulia dice a Chiara che la sua ritrosia ad andare all’asilo è ridicola e che non c’era nessun motivo per arrabbiarsi e intristirsi. Poi probabilmente cerca di distrarla dai pensieri tristi lusingandola con una caramella o parlandogli delle attività divertenti che la maestra certamente avrà preparato per lei.

Il genitore in questo caso non si cura delle emozioni negative (tristezza e collera) del figlio, anzi le ignora e le sottovaluta. Magari risolve si al momento, ma presto si ritroverà a dover affrontare il medesimo problema in un’altra situazione.

2 – Genitore censore

La mamma rimprovera Chiara per il suo rifiuto a collaborare, dicendogli che è stanca del suo comportamento infantile e magari la minaccia promettendogli una sana sculacciata.

In questo caso il genitore critica l’espressione di sentimenti negativi del figlio, fino ad arrivare a rimproverarlo o a punirlo per queste sue manifestazioni emotive.

3 – Genitore lassista

La mamma abbraccia Chiara insieme alla sua rabbia e alla sua tristezza, empatizzando con lei. Ma poi si trova a corto di idee sul da farsi. Non vuole punirla, tantomeno minacciarla, ma neanche rimanere a casa è una soluzione da considerare. Forse, alla fine, trova un compresso: “Ok, giocherò con te dieci minuti, ma poi usciamo di casa senza fare storie ok?“.

Questa soluzione magari è efficace fino al mattino seguente quando il problema con molta probabilità si ripropone. In questo esempio infatti il genitore è permissivo, ossia accetta le emozioni del figlio e si dimostra anche empatico, ma non riesce a offrirgli comunque una guida o a porre dei limiti al suo comportamento.

4 – Genitore empatico

Vediamolo all’opera:

Mamma: Mettiti la giacca Chiara. E’ ora di uscire

Chiara: No! Non voglio andare all’asilo!

Mamma: Non ci vuoi andare? Perché?

Chiara: Perché voglio stare a casa con te a giocare

Mamma: Veramente?

Chiara: Si. Voglio stare a casa.

Mamma: Penso di capire come ti senti ora. Ci sono certe mattine che anch’io vorrei rimanere a casa con te, a guardare i libri insieme, a giocare con te, invece di uscire di casa per andare al lavoro. Ma sai una cosa? Ho dato la parola a quelli dell’ufficio che sarei stata li alle 9, e non posso mancare alla parola data.

Chiara: (Inizia a piangere) Non è giusto! Uffa! Non ci voglio andare!

Mamma: Vieni qui Chiara (la abbraccia). Mi dispiace tesoro, ma non possiamo rimanere a casa. Scommetto che è questo che ti fa arrabbiare vero?

Chiara: Si

Mamma: E sei anche un pò triste, vero?

Chiara: Si

Mamma: Anch’io sono un pò triste sai? (la lascia piangere un pò tenendola stretta e lasciando che sfoghi le sue lacrime). Senti un pò cosa facciamo. Pensiamo a domani, che è sabato e non dovremo andare al lavoro e all’asilo. Possiamo passare tutta la giornata insieme. Cosa ti piacerebbe fare domani?

Chiara: Mamma possiamo fare i biscotti e guardare i cartoni?

Mamma: Certo! E’ una bellissima idea! E che altro?

Chiara: Possiamo anche andare al parco, quello nuovo dove ci sono quei scivoli grandi?

Mamma: Va bene! Ma adesso è ora di uscire, d’accordo?

Chiara: Si mamma… (escono).

Il genitore in questo caso risponde empatizzando con la figlia, diventando consapevole dell’emozione del bambino. Riconosce in quel sentimento un’opportunità di vicinanza e di insegnamento. Ascolta con empatia, e convalida i sentimenti della figlia e la aiuta a trovare le parole per definire le emozioni che sta provando. Pone infine dei limiti, mentre esplora le strategie per risolvere il conflitto in questione.

Cristiana Milla (quipsicologia.it)

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9 consigli per migliorare l’empatia

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1) Comprendi le tue stesse emozioni.
Meglio comprendi i tuoi sentimenti, più sarai in grado di comprendere i sentimenti degli altri.
Fai molta attenzione al tuo stato emotivo, notando quali situazioni modificano le tue emozioni, ciò che dà luogo a quelle positive e a quelle negative. Utilizza proprio quello che emerge dalle tue stesse emozioni come un punto da cui partire per comprendere le risposte emotive degli altri.

2) Chiedi alle persone di parlare dei loro sentimenti.
A volte, l’approccio migliore è quello diretto. Chiedi alle persone cosa pensano e cosa sentono. Spesso pensi di saperlo o di aver capito, ma le ipotesi possono dare luogo a incomprensioni e pregiudizi; inoltre, le persone, a volte, stanno solo immaginando ciò che pensano di sentire quando parlano dei loro sentimenti.

3) Interagisci con vari tipi di persone, anche con chi non ti piace.
Prova a conoscere le persone di tutte le età ed etnie, con diversi orientamenti sessuali e sociali, con differenti livelli di abilità fisica o di salute. Più tipi di persone arriverai a conoscere, più esperienze avrai, più vedrai le cose sotto una luce diversa.

4) Cerca somiglianze tra te e gli altri.
Quando poni l’accento sulle differenze tra te e gli altri, è molto più difficile da capirli. Cerca soprattutto di trovare le somiglianze tra te e le persone che non ti piacciono o con le quali non vai d’accordo. Fare questo ti permetterà di trovare i punti di connessione per stabilire un legame.

5) Pratica l’apertura verso un altro punto di vista.
Allena la tua mente ad aprirsi a prospettive che non sono le tue ed evolviti realmente per immergerti prospettive diverse.

6) Ascolta di più, parla di meno.
Il modo più affidabile per sapere quello che gli altri pensano e sentono è quello di ascoltarli quando parlano. Le persone si sentono più capite quando è consentito loro un ampio spazio per affermare la loro opinione. Quando parli tu, non parlano loro, per cui proprio parlando di meno, è possibile migliorare notevolmente la tua empatia.

7) Non terminare le frasi degli altri.
Quando pensi di sapere quello che gli altri stiano dicendo, sei tentato a terminare le loro dichiarazioni. Questo deriva in parte dal desiderio di mostrare efficienza e in parte dal desiderio di dimostrare che riesci a comprendere il pensiero degli altri.
Raramente riusciamo a comprendere gli altri così bene come pensiamo di fare. È meglio che le persone dicano a te quello che sentono, piuttosto che tu dica a loro ciò che sentono.

8) Non dare consigli se non sono richiesti.
Resisti alla tentazione di risolvere i problemi di cui le persone ti parlano. Quando dai loro un consiglio, il risultato che produce sembra quello di minimizzare i loro sentimenti. Di solito, quello che vogliono le persone è avere qualcuno che ascolti le loro preoccupazioni.

9) Dai attenzione in modo sincero.
Prendi a cuore gli altri in modo sincero. Se non lo fai genuinamente, le persone se ne accorgono, poiché è impossibile fingere empatia. Se manipoli le persone esse, comunemente, alla fine, se ne accorgono attraverso il tuo linguaggio del corpo o i fatti che ne seguiranno: di conseguenza diventerai per sempre non credibile ai loro occhi.

Pasquale Troianiello (sviluppoleadership.com)

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