Un problema frequente nell’ascoltare è che, mentre l’altro parla, noi ricordiamo qualcos’altro che ha da vedere con ciò che egli ci sta raccontando, e siamo tutti presi dal dire “la nostra” alla prima pausa. Avvengono allora certe conversazioni magari animate, nelle quali gli uni tolgono la parola agli altri, ma nelle quali si ascolta poco.
Altre volte il problema è che la conversazione non nasce in modo spontaneo e bisogna impegnarsi a cercarla, con intelligenza. In questi casi, bisogna evitare la presunzione, ovvero la tendenza a mostrare continuamente il nostro acume o le nostre conoscenze; al contrario, conviene mostrarsi disponibili e ricettivi, desiderosi di imparare dagli altri, così da ampliare ogni giorno il nostro ventaglio di interessi. In tal modo ascolteremo con attenzione cose che forse in un primo tempo non ci interessano troppo, senza che questo sia mostra di ipocrisia daparte nostra: spesso è uno sforzo sincero per andare oltre il proprio criterio, per gradire e imparare.
Per saper conversare occorre coniugare l’audacia con la prudenza, l’interesse con la discrezione, il rischio con l’opportunità. È necessario non cadere nella leggerezza, essere disposti a correggere alcune parole precipitose o importune che forse ci sono sfuggite, o un’affermazione piuttosto recisa che avremmo dovuto ponderare meglio. In ogni caso, le buone conversazioni lasciano sempre una traccia: poi vengono nuovamente alla memoria le idee, gli argomenti sostenuti dagli uni e dagli altri, sorgono nuove intuizioni e nasce il desiderio di continuare questo scambio.
Quando guardiamo agli altri con affetto, spesso sentiamo di poterli aiutare con un consiglio da amico; gli diremo con fiducia ciò che altri forse avranno notato ma non hanno avuto la lealtà di dire. Soltanto questo fondamento, la carità, fa sì che la correzione o la critica sia veramente utile e costruttiva.
La chiave della nostra capacità di far cambiare gli altri dipende in qualche modo dalla nostra capacità di cambiare noi stessi. Quando si è consapevoli di quanto costa migliorare, di quanto sia difficile, e nello stesso tempo quanto sia importante e liberatorio, allora è più facile osservare gli altri con una certa obiettività e aiutarli davvero. Chi sa dire con chiarezza le cose a se stesso, sa come e quando dirle agli altri, ed è anche capace di ascoltarli con una disposizione positiva.
L’apertura verso gli altri è collegata ai nostri progressi in un obiettivo che ci occuperà tutta la vita: riconoscere il volto della superbia e lottare per essere più umili. La superbia si nasconde nelle fessure più impensabili dei nostri rapporti con gli altri. Se ci si mostrasse apertamente, il suo aspetto ci apparirebbe ripugnante, e perciò una delle sue strategie più abituali è quella di nascondere il volto, di mascherarsi. Di solito la superbia suole nascondersi in un’altra attività apparentemente positiva, che contamina in modo sottile. Dopo, quando diventa forte, crescono le sue manifestazioni più semplici e primarie, proprie di una personalità immatura: la suscettibilità malaticcia, il continuo parlare di se stesso, la vanità e la ricercatezza nei gesti e nel modo di parlare, gli atteggiamenti prepotenti o boriosi, insieme alla completa scomparsa della capacità di accorgersi della propria debolezza.
Certe volte la superbia si maschera da sapienza, da ciò che potremmo chiamare una superbia intellettuale che prende le apparenze del rigore. Altre volte si nasconde dietro un appassionante desiderio di fare giustizia o di difendere la verità, quando nel fondo esiste soprattutto un sentimento di rivalsa o una travolgente ortodossia altezzosa: una voglia di precisare tutto, di giudicare tutto. Sono atteggiamenti che, invece di essere a servizio della verità, si servono di essa – di una parvenza di essa – per alimentare la smania di stare al di sopra degli altri.
Alfonso Aguiló (opusdei.it)