Abbiamo una grande fortuna, perché il matrimonio non è una cosa fra due, ma fra tre. Chi sarà mai il terzo?, vi starete domandando. Oltre ai due coniugi, infatti, c’è qualche altro che è ancora più interessato a portare avanti il progetto di ogni matrimonio, il progetti di santità di ogni coniuge: Dio.
Cristo ha elevato il matrimonio naturale all’alto rango di sacramento per dare una grazia speciale a ognuno dei due sposi che intraprendono questo cammino appassionante di formare una nuova ‘chiesa domestica’; inoltre, non ci lascia soli, ma si intromette nella nostra vita ed è come se ci dicesse: “Io mi lascio coinvolgere in tutto ciò che è vostro, piccolo o grande, permanente o effimero; percorrerete i miei sentieri, vivrete momenti di ogni genere, andremo a Nazaret, a Betania… e sul Calvario; ma non finisce qui, perché poi vi sarà anche la Risurrezione: abbiate fiducia perché io sarò sempre con voi durante tutte le vostre giornate”.
Diceva san Josemaría, “Il matrimonio è fatto perché quelli che lo contraggono vi si santifichino e santifichino gli altri per mezzo di esso: perciò i coniugi hanno una grazia speciale, che viene conferita dal sacramento istituito da Gesù Cristo. Chi è chiamato allo stato matrimoniale, trova in esso, con la grazia di Dio, tutti i mezzi necessari per essere santo, per identificarsi ogni giorno di più con Gesù e per condurre verso il Signore le persone con cui vive”.
La vita coniugale è un autentico itinerario di santità cristiana e il segreto che ogni coppia di coniugi cerca di scoprire per ottenere la felicità, consiste nel fare la Sua volontà in ogni situazione e amare molto, molto, come Egli ci ha amato. Per questo, in una famiglia, quando uno è dipendente dagli altri, è più felice perché allora della sua felicità si occupano gli altri e, naturalmente, Dio: Egli non delude mai.
Come ci ha detto Papa Francesco nella sua catechesi sulla famiglia, “la sapienza della creazione di Dio: Egli ha affidato alla famiglia, non la cura di una intimità fine a se stessa, ma l’emozionante progetto di rendere ‘domestico’ il mondo. La famiglia è all’inizio, alla base di questa cultura mondiale che ci salva; ci salva da tanti, tanti attacchi, tante distruzioni, da tante colonizzazioni, come quella del denaro o come quelle ideologie che minacciano tanto il mondo. La famiglia è la base per difendersi”.
In questo senso, vale la pena ricuperare il significato del matrimonio sacramentale. Non soltanto come un evento festivo o familiare – anche se lo è –, ma perché comprendiamo sino in fondo ciò che si sta per fare: la reciproca donazione-accettazione delle nostre persone nella loro coniugalità, partecipando del mistero d’amore fra Cristo e la sua Chiesa. Ecco perché la tappa del fidanzamento è tanto cruciale per cominciare a mettere Dio al centro della nostra vita personale: così che arrivi a far parte di un tu, di un io e di un noi aperto ai figli e ad altre famiglie. L’uomo non potrà trarre il meglio dalla donna se non sta vicino a Dio, e la donna non potrà trarre il meglio dall’uomo se non sta vicino a Dio. Stare o non stare vicino a Dio è la chiave per la felicità coniugale.
Inoltre, con la nostra vita coniugale possiamo essere- senza alcun merito da parte nostra – luce per gli altri: una luce che mostri – anche senza parole – che Dio è nella nostra vita perché, nei nostri rapporti coniugali e nella nostra famiglia, le cose si soprannaturalizzano con naturalezza; non facciamo nulla di strano: lavoriamo come gli altri, usciamo e ci distraiamo come gli altri, ridiamo come gli altri, abbiamo le preoccupazioni caratteristiche della nostra età, i sogni, le chimere che forse diverranno realtà e forse no. Ma faremo in modo di mettere tutto nelle mani di Dio: questa è la differenza… e viviamo ogni cosa con una gioia di fondo, perché se abbiamo un figlio con dei problemi, o se sembra che i figli non arrivano, se c’è una malattia, piangeremo come gli altri, ma con i piedi sulla terra e gli occhi rivolti al cielo.
La carità “porterà a condividere le gioie e le eventuali amarezze – ci ricorda san Josemaría –; a saper sorridere dimentichi delle proprie preoccupazioni per prendersi cura degli altri; ad ascoltare il proprio coniuge e i figli, dimostrando loro che li si ama e li si comprende davvero; a superare i piccoli attriti che l’egoismo tende a ingigantire; a svolgere con amore sempre nuovo i piccoli servizi di cui è intessuta la convivenza quotidiana.”.
Pregare insieme in famiglia – rispettando la libertà e l’età di ognuno dei figli: la fede si trasmette, non s’impone – è una cosa che la tradizione cristiana raccomanda perché, attraverso queste piccole ma concrete pratiche di pietà familiari, la fede è stata trasmessa generazione dopo generazione: pregare al mattino – l’offerta a Dio della nostra giornata –, l’Angelus a mezzogiorno e la sera tre Avemaria; invocare Dio all’inizio di un viaggio; assistere insieme alla Messa domenicale; e magari recitare in famiglia il Rosario perché, come si dice, “la famiglia che prega unita rimane unita”, però sempre. Tra queste pratiche di pietà è molto familiare la benedizione della tavola, come ci ricorda l’enciclica Laudato si’: “Un’espressione di questo atteggiamento [contemplativo davanti alla creazione] è fermarsi a ringraziare Dio prima e dopo i pasti. Propongo ai credenti che riprendano questa preziosa abitudine e la vivano con profondità. Tale momento della benedizione, anche se molto breve, ci ricorda il nostro dipendere da Dio per la vita, fortifica il nostro senso di gratitudine per i doni della creazione, è riconoscente verso quelli che con il loro lavoro forniscono questi beni, e rafforza la solidarietà con i più bisognosi”.
Noi sposi abbiamo il dovere coniugale dell’aiuto reciproco, promesso il giorno del nostro matrimonio, e aiutare l’altro vuol dire dargli la possibilità di trarre il meglio, certamente aiutandolo a stare vicino a Dio – senza amareggiarlo o importunarlo indebitamente; infatti, il migliore e più efficace modo di attirare a Dio, il compelle intrare (Lc 14, 23) del Vangelo, consiste nell’amare e pregare per il coniuge e per i figli –, perché la cosa più importante per ognuno di noi è portare il coniuge in cielo, ma aiutandolo ad apprezzare il bene in se stesso.
Dobbiamo rispettare i tempi di ognuno e dobbiamo affrontare le eventuali crisi: con la presenza, la compagnia, la preghiera, ma senza opprimere. Dobbiamo curare anche l’inverso: rispettare l’altro nei suoi momenti di intimità con Dio, se l’altro non pensa di condividerli, è cosa che non deve intralciare i rapporti coniugali, ma deve arricchirli. Importante è il rispetto reciproco, soprattutto in ciò che riguarda la coscienza, che è il luogo in cui ognuno apre la sua interiorità al Signore, il luogo in cui la nostra libertà prende le decisioni più importanti della propria vita. L’intimità con Dio è personale e ognuno deve scoprire la via personale che lo porta a Lui, che passa certamente attraverso il coniuge: questo non fa altro che arricchire entrambi.
Dio ha voluto coinvolgersi con noi nell’avventura del matrimonio, perché lo ha voluto, perché ci ama profondamente e vuole la nostra felicità; ma anche perché vuole che siamo luce per gli altri e che formiamo un’autentica ‘Chiesa domestica’ con i nostri figli. “Nella misura in cui la famiglia cristiana accoglie il Vangelo e matura nella fede diventa comunità evangelizzante […]. Questa missione apostolica della famiglia è radicata nel battesimo e riceve dalla grazia sacramentale del matrimonio una nuova forza per trasmettere la fede, per santificare e trasformare l’attuale società secondo il disegno di Dio”. Com’è grande la missione alla quale Dio ha chiamato gli sposi e che ha messo nelle loro mani! Quale meravigliosa responsabilità è l’essere presenti nella nascita di una società rinnovata dalla carità di Cristo e quale imperiosa necessità è il Suo aiuto!
Rosamaría Aguilar
http://opusdei.org/it/article/amore-coniugale-e-vita-di-pieta/