1. “So esattamente ciò che provi, ci sono passato anch’io”.
Certo quest’affermazione di primo acchito ha il sapore della solidarietà, ma in realtà avete spostato il focus su di voi emarginando l’unicità dell’esperienza della persona. Come regola generale, se le prime parole dalla tua bocca iniziano con il pronome “io”, le probabilità di non essere empatici aumentano di gran lunga.
2. “Potrebbe sempre essere peggio”.
Si potrebbe pensare che questo è un modo per vedere le cose da un’altra prospettiva, ma, in realtà, non lo è. Dire a chi sta male che il suo dolore non è poi così grave e non solo una sottovalutazione gratuita ma anche un offesa. Invece di combattere la necessità di riempire l’aria con le parole, basterebbe semplicemente prendere una sedia, mettersi accanto alla persona e ascoltare. Questa è empatia. Ricordatevi che nessuno deve sentirsi grato che quello che è successo è stato solo un uragano di categoria tre, non uno tsunami.
3. “Cerca di essere positivo. Forse doveva andare così”.
Un vero empatico lascia la sua riserva segreta di pensieri e aforismi positivi a casa. Invece di tentare di modificare a tutti i costi le emozioni e i pensieri di quel momento, facendo sentire chi li prova un marziano o un fallito e per di più se non riesce ad essere positivo anche frustrato, possiamo semplicemente fare compagnia al suo dolore, lasciarlo li e aspettare che il processo di smistamento dei nostri sentimenti negativi facciano il loro corso.
4. “Non pensi che è ora di andare avanti e reagire?”
Il cheerleader interno che è in te può pensare che questo consiglio sia utile, ma nel frattempo la distanza emotiva si fa sempre più lunga. Con questa affermazione trasformiamo il dolore in un oggetto usa e getta e che ha una scadenza. A meno che non si ha intenzione di far capire alla persona che sei stanco di questa storia e di lui , forse sarebbe più saggio ed empatico lasciare decidere alla persona in questione quando è il momento giusto per andare avanti.
Rosanna Tremamondo (blog.iwatson.com)