Prega per me


(en español: http://conempatia.org/2018/04/10/reza-por-mi/)

Pregare è una conversazione con coloro che non ci sono più, il ricordo di coloro che ti hanno preceduto e l’orazione per seguire il loro esempio. Pregare è chiedere per loro. E anche chiedere a loro per noi che siamo qui. E’ il momento di maggior calma del giorno e, nel mio caso, è la prima ora del mattino, poco più delle sei con l’acqua della doccia che cade lentamente sulle spalle.

Pregare è una fotografia in seppia, un ritorno alla casa dei tuoi nonni e al tempo senza tempo della tua infanzia. È passare dalla Chiesa di San Pietro, sulla strada per la scuola, e pregare al Cristo di Burgos un Padre Nostro per chiedere aiuto negli esami. È il rifugio del freddo e il silenzio accogliente. Pregare è avere memoria.

Pregare è ciò che precede o segue il lavoro, e non lo sostituisce mai perché già lo dice il proverbio: “aiutati che Dio ti aiuta”. È l’unica cosa che puoi fare quando ormai non è possibile fare altro, e il modo d’impegnarsi da chi non ha un altro modo per farlo, come quando preghiamo per un paziente che sta per essere operato e ormai è tutto nelle mani del chirurgo (e di Dio). Pregare non fa miracoli, o se li fa, non lo sapremo mai, ma offre consolazione a colui che prega e a colui per il quale si prega. Pregare non è mai inutile, perché sempre conforta.

Pregare è dire pregherò per te e, anche, prega per me. Ed è, quindi, il contrario della vanità. Pregare è l’accettazione dei tuoi limiti. È imparare a rassegnarsi quando ciò che avrebbe potuto essere non è stato. È vivere senza rancore, imparare a dimenticare, accettare la sconfitta con dignità e celebrare il trionfo con umiltà. Pregare è rassegnazione quando procede, ma anche scatto e fierezza quando tocca. È cercare le forze se non si hanno e pensare che alla fine le cose saranno come dovrebbero essere. Pregare è ottimismo, non dare niente per perso, lottare e resistere, è mio padre prima di morire. Pregare è fragilità e vigore.

Pregare è rimarginare le ferite, superare il danno che ti hanno fatto. Girare pagina e ricominciare da zero. Perdonare le offese e anche chiedere perdono. E soprattutto avere gratitudine. Pregare è rendere grazie per vivere e per quello che la vita ti ha dato. È svegliarsi con illusioni rinnovate. Aggrapparsi disperatamente all’immateriale. Ricordarsi di ciò che conta davvero e relativizzare tutto il resto. È stabilire le priorità, mettere in ordine le carte del tuo tavolo, cercare la trascendenza, pensare in grande.

Pregare è staccare e spegnere il cellulare. È introspezione nella società dell’esibizionismo. È rilassarsi e calmare i nervi. E prepararsi mentalmente per quello che verrà. Non è solo cercare il coraggio, ma anche l’ispirazione, l’idea, l’impostazione, la luce, il chiaro in mezzo alla giungla. Pregare è ragionare, anche se sembra la cosa più irrazionale che esista. È la mente in funzione come quando giochi una partita di tennis. È pianificare e anticipare le mosse. È astrazione nei tempi dello concreto e dello materiale. È pausa in un mondo eccitato. È calma quando tutto è ansietà. Ed è noioso nella dittatura dello divertente.

Pregare è una forma estrema di indipendenza, un’attività quasi di controcultura, la cosa più “punk” che si possa fare nel pomeriggio di una domenica. È il modo più radicale di praticare “mindfullness”, così obsoleto che qualche giorno diventerà straordinariamente “cool”. Pregare potrebbe essere computato come ore di lavoro per i dipendenti pubblici, ma non lo si fa perché è una pratica “anti-sistema”, senza alcun riconoscimento dell’”establishment”. Così politicamente incorretta che la gente nasconde che prega come nasconde la pancia per la foto. Pregare è un piacere occulto, che si riserva per l’intimità. Un atto privato che, quando si fa accompagnato, ha bisogno di un po’ di oscurità e molta, molta, fiducia.

Pregare è spogliarsi e aprire la tua anima alla persona con cui preghi. Ed è una dichiarazione d’amore per la persona che hai nelle tue preghiere. È versare il tuo affetto su quelli che ami di più e provare l’affetto di coloro che pregano per te. Pregare è avere altri nelle tue preghiere ed stare nelle preghiere degli altri, che è molto di più che stare solo nella sua memoria. Pregare, e soprattutto che preghino per te, è la più grande aspirazione che si possa avere nella vita. Un privilegio immenso. È volere tanto bene a qualcuno come per pregare per lui, e che qualcuno te tenga tanto a cuore come per pregare per te. Può esistere maggior orgoglio? Esiste maggiore pienezza di quella di sapere che c’è una madre, un fratello, un figlio o un amico che vuole che Dio ti protegga, e ti conceda la salute, e ti illumini, e ti aiuti, e ti accompagni, e sia sempre con te?

Pregare è avere fede. Avere fede nella vita, nelle persone, nei tuoi amici, nei tuoi figli, nei tuoi genitori, in Dio. È un super potere che ci predispone al bene. Pregare è credere in un mondo migliore.

Miguel Angel Robles, professore di comunicazione nell’Università Loyola di Siviglia
Abc di Siviglia, 11 marzo 2018
Testo originale in spagnolo: http://conempatia.org/2018/04/10/reza-por-mi/